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«Sarebbe devastante se adesso in
Europa crescesse un'onda antiislamica. Avremmo fatto il
gioco degli attentatori. L'America l'ha capito subito.
Loro non chiedono di meglio che di gettarci nel
sospetto, nella paura, nello stato di polizia. Sanno
benissimo che se la gente, i politici e certi
intellettuali cominciassero ad alimentare il
pregiudizio, allora sarebbe lo scontro e quello scontro
ci vedrebbe perdenti. Per tre ragioni. Primo, loro sono
un miliardo e 300 milioni sparsi in cinque continenti,
America ed Europa comprese. Secondo, l'Islam è di gran
lunga la religione più dinamica, quella che si è diffusa
più rapidamente. Terzo, se noi facessimo di ogni erba un
fascio, getteremmo anche i musulmani liberali nelle mani
dei fondamentalisti. Non dimentichiamo mai che l'Islam è
un arcipelago. E che il fondamentalismo aggressivo è
nato non contro l'Occidente ma soprattutto contro la
corruzione dell'Islam medesimo». Varsavia grigia,
cielo grigio, una villetta grigia con gli abbaini. Nella
sua mansarda senza telefono Ryzsard Kapuscinski, uno dei
massimi giornalistiviaggiatori del mondo, grande
testimone dei Paesi poveri, viaggia tra montagne di
libri e ogni montagna è un continente. Qui l'America
Latina, il materiale dell'opera che sta scrivendo in
questi mesi. Lì l'Africa di Ebano. In fondo, vicino alla
finestra, la Persia di Shah in Shah, appena apparso in
Italia per Feltrinelli. Sulla biblioteca, una parete
intera per la Russia di Imperium, straordinario
resoconto del crollo dell'Unione Sovietica. Vicino alla
porta c'è un'altra montagnola che cresce: è l'Islam e
l'India, il libro prossimo venturo. Sorride e sorridendo
dice cose terribili. Spiega, lui cattolico della terra
di Wojtyla, che l'Europa sarà sempre meno cristiana e la
deriva è inevitabile. E poi che l'Occidente ha subìto
l'attentato di New York perché ha scelto di ignorare il
resto del mondo. Kapuscinski, se l'aspettava
quest'apocalisse? «Ma come fai ad aspettarti un
simile abominio? No, era inconcepibile. Per questo
quell'immagine non ci abbandonerà più. Resterà lì
indelebile, a scavarti un buco nell'anima. Una cosa che
ti lascia senza parole, senza lacrime, senza
pace». C'erano segnali ammonitori? «Segnali,
sintomi, non cause. A ripensarci, qualcosa di oscuro era
nell'aria. D'estate qualcosa si è rotto, deteriorato. E'
cresciuto un clima di rancore per l'Occidente». A
cosa allude? «Per esempio all'espulsione degli Usa
dalla commissione per i diritti umani, un evento fino a
ieri inconcepibile. E poi, ai rancori legati alla
mancata firma americana del protocollo di Kyoto sul
controllo dell'inquinamento. Poi, gli antiglobalizzatori
trattati tutti come hooligans a Genova, la mancata
volontà di capire quanto di sensato vi era nel
movimento. E, ancora, la conferenza di Durban. Lì non
solo i fondamentalisti hanno attaccato
Israele...». Questo non dice chi sono gli
assassini. «Certo che no. C'è la risposta
investigativa, che ci porta in chissà quali labirinti,
in chissà quali mondi occulti e paralleli. Ma
quell'indagine non basta. Qui devi fare di più, andare
nel senso profondo del gesto, nei suoi simboli oscuri.
Capire che questo non è l'atto di un singolo folle. Qui
c'è un network, una preparazione, una fede. Questo ti
obbliga a cercar di comprendere in che mondo vivi. A
chiederti perché esplodono aggressioni così
bestiali». Perché? «Perché siamo seduti su una
polveriera. Perché la politica delle corporation e delle
grandi banche arricchisce il venti per cento del mondo e
consente che tutto il resto sprofondi nella miseria. E'
la globalizzazione a senso unico, che unifica su scala
planetaria l'elettronica, i mercati, i commerci, la
finanza, ma non le democrazia, i diritti umani, i
livelli di vita». Non si sente antiamericano a dire
queste cose? «Capire non significa giustificare. E'
ovvio che giustizia va fatta nel modo più severo. Ma una
cosa è l'orrore per l'evento. Altra cosa è voler essere
ciechi, mettere la testa nella sabbia». Dobbiamo
leggere lo sviluppo? «Io viaggio molto per scrivere i
miei libri, passo continuamente dal mondo dei ricchi a
quello dei poveri e dico: ogni volta vedo un fossato che
si allarga, diventa voragine. E' come se la distanza
fosse più grande ogni anno, ogni mese, ogni giorno. E'
spaventoso. Folle». Racconti. «Due anni fa, ero
sul confine somaloeritreo, in un campo profughi. Ho
visto esseri nudi, buttati per terra come sacchi vuoti,
crepare di fame, malaria, tubercolosi. Bene, nello
stesso giorno sono volato a Addisa Abeba e da lì a Roma,
dove mi hanno portato in piazza Navona. Era una sera
pulita, color madreperla. I turisti ascoltavano musica,
ballavano, bevevano vino dei Castelli. Allora ho pianto.
Senza speranza. Lì, in mezzo alla gente» Come mai gli
Usa sono stati colti di sorpresa? «Non solo
l'America. Tutto l'Occidente non ha voluto guardare in
faccia la realtà. Si è cullato nell'illusione che la
fine della guerra fredda fosse la fine di tutte
guerre». Così siamo caduti nel torpore? «Peggio.
Ci è stato detto: se ci saranno turbolenze, saranno
tutte fuori dal nostro mondo. Come al tempo dei Romani.
Fuori dal Limes i barbari, dentro il Limes la
civiltà». Un inganno... «Un'illusione. Utile a
farci mandare avanti tranquillamente la macchina dei
consumi. Per questo i giornali ci intontiscono di
varietà e divertimenti. Per questo non mandano più
corrispondenti nelle zone povere del mondo, per questo
la nostra percezione del mondo diminuisce. Quando
viaggiamo, persino la povertà ci è mostrata come
attrazione turistica. E' disperante». Qualcuno aveva
detto: attenti! «Già Huntington aveva capito che la
favola della fine dei conflitti era spazzatura, che
questa nostra ricchezza non era eterna ma un fenomeno
unico, precario, irripetibile. Ci ha spiegato che dietro
alle religioni ci sono le civiltà, i costumi, le
identità, secoli di storia. Che c'è un magma irrazionale
in movimento, roba che può creare rigetti reciproci e
talvolta lo scontro». Ma qui ha fallito anche
l'Intelligence. «E' accaduto perché tutti si sono
cullati nel mito dell'invulnerabilità. La commissione
federale per la sicurezza aveva lanciato un allarme
preciso, drammatico, ma nessuno l'ha voluta ascoltare.
Incredibile. Nessuno, nemmeno i grandi giornali.
Rileggere quel rapporto oggi fa paura. Spiega che questa
cecità non è affatto uno stato passivo. Il filosofo Karl
Popper l'aveva letta bene: non è solo ignoranza. E' di
più. E' il rifiuto volontario di capire». E adesso,
basterà una risposta armata? «Guai se ci si limitasse
a questa. Sarebbe affidare il problema alla burocrazia
poliziesca e militare. Invece qui bisogna capire.
Bisogna usare questa tragedia per riflettere. Vogliamo o
non vogliamo renderci conto che niente è più come prima?
Vogliamo capire che anche se l'operazione militare avrà
pieno successo, il problema di fondo resta lì, intatto
nel suo potenziale destabilizzante? Come nasce
l'aggressività suicida? «Esplode perché
parallelamente al senso di abbandono e di marginalità
cresce negli altri mondi un senso di orgoglio. E' il
contraccolpo della decolonizzazione. Partiti i vecchi
padroni, improvvisamente la gente comincia a pensare: la
nostra cultura, la nostra tradizione, la nostra
religione è fantastica, la migliore di tutte. Il passato
ritorna. E allora, di fronte alla passata grandezza, la
miseria del presente diventa improvvisamente
intollerabile». Fondamentalismo? «Non è così
semplice. Spesso è solo un revival spontaneo dei simboli
della tradizione. Un anno fa ero al Cairo e un amico
egiziano mi ha invitato al club degli ingegneri. C'era
la tecnocrazia locale, non era affatto un ambiente
fondamentalista. Mi ha chiesto: noti nulla? Solo allora
me ne sono accorto: tutte le donne portavano il velo. E
lui: vedi, vent'anni fa nessuna di loro l'avrebbe messo.
Oggi sì. Eppure non c'è nessun talibano che le obbliga.
Lo fanno spontaneamente». Com'è fatto il terrorista
globale? «Non è più un povero fanatico affamato e
diseredato. Tutto è cambiato. Nel terzo mondo cresce una
gioventù dinamica, brillante, altamente educata, capace
di padroneggiare la nostra tecnologia, ansiosa di fare
qualcosa. Sono ragazzi usciti dal villaggio, che
viaggiano, vedono il mondo dei ricchi e proprio per
questo si sentono frustrati. E' qui che nasce la miscela
micidiale di fanatismo e tecnologia che si è vista l'11
settembre». Gente cresciuta nel nostro
mondo... «Questi giovani magari mangiano hamburger e
bevono Coca<\->Cola, ma non per questo amano
l'Occidente dei ricchi. Gli americani faticano a capire
questo fatto». Riesce a entrare nella testa degli
attentatori? «Quello che è accaduto in quelle teste
non è affatto un mistero. La tradizione millenaria di
quei mondi è costruita sulla mitologia della vita donata
per la causa. Ma attenzione! Guai a ridurre tutto a una
cosa islamica. In India Ghandi e i suoi discendenti sono
stati sistematicamente eliminati da attentatori suicidi.
Il Giappone ha conosciuto la stagione dei Kamikaze. E
ancora oggi i cristiani d'Etiopia ti mostrano con
orgoglio le foto dei figli morti in guerra». Non c'è
un rapporto fra odio e Islam? «Ma se il Corano è
pieno di cristianesimo, di giudaismo, di cultura greca!
Dentro puoi trovarci tutto e il contrario di tutto,
esattamente come nella Bibbia. E' un tale assemblaggio
di culture,e poi c'è tanto esoterismo, tanto non detto.
Non c'è niente che ti aiuti a dire: ecco, il
fondamentalismo nasce da questa o da quella frase». E
l'Europa cristiana? «L'Europa ormai non è più
sinonimo di sola cristianità. C'è un Islam che cresce.
E' inevitabile. Il mondo cristiano invecchia, l'Islam è
giovane. Questo non vuol dire che c'è un'invasione in
atto. No, siamo noi europei che abbiamo bisogno
dell'Islam per reggere con manodopera sottocosto alla
competizione mondiale. Tutto questo allarme immigrati è
francamente ipocrita». Ma la gente non è
razionale. «Vero. In tempi carichi di emozione può
succedere di tutto. E' difficile per l'Europa accettare
influenze altrui dopo aver dominato il mondo. Non sono
cose che si digeriscono in una generazione
sola». |